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  • COME SEPARARSI O DIVORZIARE IN UN SOLO GIORNO SENZA GIUDICE !

    COME SEPARARSI O DIVORZIARE IN UN SOLO GIORNO SENZA GIUDICE !

    Il momento della separazione è molto delicato per entrambi i coniugi. Tra le mille difficoltà che si affrontano c’è anche quella di un procedimento in tribunale molto lungo e complesso; anche quando si è deciso per una separazione consensuale -che ricordiamo essere la scelta da preferire- passano almeno 5 o 6 mesi dal raggiungimento dell’accordo nello studio dell’avvocato fino all’effettiva comparizione davanti al giudice in tribunale.

    Da oggi questo non è più vero, perché c’è una nuova legge che permette di separarsi o divorziare direttamente nello studio dell’avvocato, senza più dover andare in Tribunale e senza lunghe attese.

    Questo tipo di procedura -velocissima- è utilizzabile SEMPRE, purché ci sia l’accordo dei coniugi sulle condizioni (se l’accordo già non c’è vi aiutiamo noi a raggiungerlo).

    NOI SIAMO IN GRADO DI FARVI SEPARARE O DIVORZIARE IN SOLE 24 ORE.

    ANCHE SE CI SONO FIGLI (MINORENNI O MAGGIORENNI CHE SIANO).

    Come opera il nostro studio?

    In modo semplicissimo e… rapidissimo:

    NEL GIRO QUINDI DI 24 ORE DAL RAGGIUNGIMENTO DELL’ACCORDO I CONIUGI POSSONO EFFETTIVAMENTE FIRMARE E CONCLUDERE LA LORO SEPARAZIONE O IL LORO DIVORZIO E COMINCIARE SUBITO IL LORO NUOVO PERCORSO DI VITA

    1.  contattiamo i coniugi che si sono rivolti a noi per una procedura di separazione o divorzio consensuale e li convochiamo in studio per raggiungere un accordo concreto;
    2. nel momento in cui siamo certi di aver definito insieme a loro un accordo equilibrato in base alle loro esigenze e necessità, questo accordo viene da noi immediatamente elaborato in forma scritta e può essere siglato sin dal giorno successivo alla chiusura della trattativa;
    3. nel giro quindi di ventiquattr’ore dal raggiungimento dell’accordo i coniugi possono effettivamente firmare il loro separazione / divorzio e cominciare il nuovo percorso di vita secondo le regole che hanno stabilito insieme grazie all’opera dei loro avvocati;
    4. l’accordo di separazione / divorzio è immediatamente operativo e valido per la legge italiana;
    5. entro dieci giorni, il vostro accordo viene poi trasmesso all’Ufficiale di Stato Civile competente per la trascrizione nei Pubblici Registri.

    Una vera rivoluzione.

    Diventa dunque fondamentale  avere un avvocato competente in materia di famiglia, che indirizzi bene su quelle che sono le scelte più opportune per l’uno e per l’altro coniuge. Ed eviti ingiustizie piccole o grandi, che nell’immediato magari possono sfuggire a un esame superficiale ma invece si rivelano poi decisive per la corretta gestione dei rapporti fra coniugi da lì in avanti.

    LO STESSO PROCEDIMENTO CONSENTE AI SEPARATI DI DIVORZIARE  O MODIFICARE LE CONDIZIONI DELLA VECCHIA SEPARAZIONE O DEL DIVORZIO PRESSO IL NOSTRO STUDIO IN SOLE 24 ORE.

    Ricordiamo che un accordo (anche sbagliato o non equilibrato) stipulato dall’avvocato o dal giudice non si può modificare se non cambiano le situazioni economiche sottostanti, perché la legge ritiene che voi abbiate ritenuto congrua quella definizione di rapporti.

    Se dunque avete già deciso di separarvi o divorziare, Vi consigliamo senz’altro di contattarci (tramite il sito, o chiamando lo 0656320610, o ancora tramite mail: info@spinozziecalanna.it o la nostra pagina Facebook), chiedendo espressamente di voler utilizzare questo nuovo procedimento d’immediata efficacia.

     

     

     

     

  • NULLITA’ DEL MATRIMONIO, FINALMENTE UNO STOP ALLA SACRA ROTA

    Avvocato, ho sentito dire che rivolgendosi alla sacra rota mia moglie non prenderà gli alimenti, possiamo farlo anche noi?”

    La domanda (quasi sempre in questi termini espliciti) ci viene rivolta spesso, da mariti (o anche da mogli, nell’ultimo periodo) all’affannosa ricerca di sistemi più o meno tortuosi per evitarsi di corrispondere somme al non più amato coniuge.

    Intanto, diciamo che è una filosofia che comprendiamo ma non condividiamo; qui come in altri settori non c’è da essere più o meno ‘furbi’, semplicemente c’è da far valere i propri diritti in un senso o nell’altro (e dunque non pagare se all’altro per legge non spetta; pagare solo il giusto, qualora si sia tenuti). Le norme in materia, se ben applicate, assicurano giustizia.

    Tornando al nostro argomento: effettivamente –almeno fino a ieri- uno dei più praticati stratagemmi per evitare di dover corrispondere alimenti al coniuge in caso di separazione era quello di rivolgersi ai tribunali ecclesiastici per ottenere una pronuncia di nullità del matrimonio.

    Non stiamo parlando dei pochissimi casi in cui a muovere gli interessati è un reale insopprimibile bisogno di porre nel nulla un sacramento per fondati motivi squisitamente religiosi; quello che interessa qui è il caso -purtroppo assai diffuso- del marito (o in qualche caso della moglie) che si rivolge alla Rota romana (questo il nome corretto) per far dichiarare la nullità del proprio matrimonio per motivi d’interesse economico.

    A i non addetti ai lavori questa distinzione tra nullità ecclesiastica e divorzio civile sfugge, perché nella sostanza si ha sempre la fine del vincolo matrimoniale a suo tempo contratto in chiesa.

    Se nessun matrimonio vi è stato allora non spettano gli aiuti economici che dal matrimonio traggano origine; dunque niente assegno di separazione e nemmeno di divorzio.

    Gli effetti dell’una e dell’altra pronuncia però sono ben diversi; o almeno lo sono stati fino a pochi giorni fa.

    Una sentenza di nullità ecclesiastica (poi recepita nel nostro ordinamento con una sentenza di delibazione, in pratica poco più di un controllo formale) fa cadere il vincolo del matrimonio dall’origine; in pratica è come se un matrimonio non ci fosse mai stato. 

    Dal punto di vista degli alimenti e del mantenimento questo ha conseguenze drammatiche per il coniuge svantaggiato che secondo la legge italiana avrebbe diritto a un assegno di mantenimento, perché se nessun matrimonio vi è stato allora non spettano gli aiuti economici che dal matrimonio traggano origine; dunque niente assegno di separazione e nemmeno di divorzio, salve poche eccezioni (limitate nel tempo e comunque nella casistica) di cui faremo a meno di accennare.

    Nella pratica ci si trovava dunque a dover fronteggiare, nel corso di un procedimento civile italiano, la concreta minaccia che tutto venisse posto nel nulla a causa di una sentenza “straniera”, pronunciata da un tribunale assai diverso da quelli che conosciamo, per di più basata su criteri di giudizio spesso assai diversi e distanti da quelli della legge italiana.

    Da oggi non è più così.

    Le sezioni unite della corte di Cassazione, infatti, con una sentenza (16379/14) che sicuramente farà epoca e solleverà proteste degne di miglior causa, hanno finalmente sancito in modo chiaro e inequivocabile il principio per cui

    Ora le pronunce di nullità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici non potranno più avere alcun effetto per la legge italiana nel caso di matrimoni in cui vi sia stata convivenza effettiva per almeno tre anni.

    le pronunce di nullità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici non potranno più avere alcun effetto per la legge italiana nel caso di matrimoni in cui vi sia stata convivenza effettiva per almeno tre anni. Lo impedisce innanzitutto la nostra Costituzione.

    Finalmente dunque la tutela dei diritti e delle rispettive ragioni dei coniugi torna ad essere oggetto di esame e decisione pressoché esclusivi del giudice civile italiano, secondo le leggi laiche del nostro ordinamento e con tutte le garanzie che le nostre norme assicurano in modo lodevole al coniuge svantaggiato separato o divorziato.

    Attenti però; il vostro avvocato dovrà opporsi tempestivamente e nel modo tecnicamente corretto alla sentenza ecclesiastica, altrimenti il giudice non potrà di sua iniziativa rifiutarsi di accettare la sentenza ecclesiastica e anzi dovrà necessariamente applicarla.

    Ancora un buon motivo per scegliersi un ottimo avvocato matrimonialista.

    Stai pensando di separarti? 

    Se hai maturato già l’idea (o anche solo se ti serve una consulenza riservata di orientamento), contàttaci ora (dal sito, via mail o chiamando lo 0656320610).

    Ti aspettiamo per tutelarti al massimo.

     

     

     

     

     

     

     

    L’immagine: “GVasiCancelleriaengr”. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons

     

     

  • SEPARAZIONE, PUO’ INTERVENIRE IN GIUDIZIO IL FIGLIO MAGGIORENNE

     

    Ho rilasciato una breve intervista a JusticeTV (canale 586 di Sky) sulla possibilità per il figlio maggiorenne d’intervenire nel giudizio di separazione tra i genitori, recentemente sancita dalla Cassazione (sentenza 4296 del 19 marzo 2012).

    L’intervista in video, andata in onda nel JusticeTG, è visibile per i soli abbonati, mentre la (parziale) trascrizione dell’articolo è liberamente consultabile QUI.

     


  • Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare le liberalizzazioni.

     

    Leggo sul sempre aggiornatissimo sito di Altalex la bozza del famigerato D.L. 2012 sulle liberalizzazioni che il governo Monti si appresta a varare; e inizio anche a ricevere al riguardo le usuali mail di sdegno/allarme/chiamata alle armi da parte dei più disparati organismi e  associazioni forensi (qualcuno, nella foga, travolge con morti e feriti anche la lingua italiana).

    Con buona pace di chi la pensa altrimenti, personalmente ritengo il provvedimento, almeno per la parte che riguarda gli avvocati, assolutamente positivo e condivisibile; e spero vada in porto al più presto.

    Se avrete la pazienza di seguirmi, spiegherò in sintesi il perché, commentando direttamente le norme ‘incriminate’ (riportate in grassetto corsivo).

    […]
    CAPO III – SERVIZI PROFESSIONALI
    Art. 7
    (Disposizioni sulle tariffe professionali)
    1. Sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime, comprese quelle di cui al capo V, titolo III, legge 16 febbraio 1913, n. 89.

    Qua i primi commenti mostrano panico e smarrimento: come faremo a determinare il dovuto?
    Non mi risulta aver mai udito analogo terrore in chi vende viaggi o impacchetta cioccolatini, per l’ottima ragione che il “prezzo” è sempre e comunque determinabile; se poi  risulterà troppo alto / basso, lo dirà il mercato (di riferimento; lo stracchino del discount ha un prezzo diverso da quello della boutique gastronomica del centro).

    Pronti a fare offerte speciali? Io sì, e sarà divertente.

    Personalmente, vedo anzi nella fine delle tariffe una vera e propria liberazione; tutti noi avvocati abbiamo passato (buttato) anni a predisporre note spese e/o parcelle analitiche (come richieste dalla normativa) annotando €2 di spese di fax, €10 di ‘accesso agli uffici’ etc. etc.; salvo poi ritrovarsi a vederle disattese e/o dover comunque rientrare in un certo ‘totale massimo richiedibile’, spesso tutt’altro che indiscutibile o… indiscusso.

     

    2. Al primo comma dell’articolo 2233 del codice civile, sono apportate le seguenti modificazioni: a) Le parole “le tariffe o” sono soppresse; b) Le parole “sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene.” sono sostituite dalle seguenti “secondo equità.”

    Qui si modifica la norma del c.c. che prevede  come determinare un compenso per il professionista nel caso non vi sia un accordo preventivo (e cioè un contratto); d’ora in poi, se non potrà essere determinato “secondo gli usi”, il Giudice (perché questa norma serve nel caso di giudizi tra professionista e cliente) lo determinerà ‘secondo equità’.

    Questa ultima espressione spaventa molti: saremo dunque rimessi all’arbitrio del giudice?
    Sinceramente, mi viene da sorridere.
    In vent’anni di frequentazione dei tribunali, e con parecchie cause ormai alle spalle, i casi in cui un Giudice abbia accolto integralmente la richiesta portata dalle mie (sia pur accuratamente calcolate) note-spese si conta sulle dita di una mano.
    Da sempre i giudici si sentono liberi di rideterminare il compenso dovuto all’avvocato; e mai il ‘parere dell’associazione professionale’ è stato da essi ritenuto vincolante in alcun modo.

     

    3. Al primo comma dell’articolo 636 del codice di procedura civile, le parole da “e corredata da“ fino a “in base a tariffe obbligatorie” sono abrogate.

    Questa è la norma relativa ai decreti ingiuntivi richiesti dai professionisti per gli onorari non pagati; si elimina qui il parere obbligatorio di congruità dell’Ordine (che del resto, come detto, con le nuove norme non conta più nulla per il giudice).
    Il professionista qui risparmia una percentuale (nel caso ad es. degli avvocati, pari al 2%) calcolata in base agli onorari richiesti (ma ancora non incassati), compenso che l’Ordine ti richiede(va) per emettere tale parere.
    Parere, occorre ribadirlo, fino ad oggi invece necessario (=costo sicuro) ma niente affatto insindacabile in giudizio (e ci mancherebbe).

     

    4. Alla legge 16 febbraio 1913, n. 89 sono apportate le seguenti modificazioni: a) Il comma 2 dell’articolo 74 è soppresso; b) All’articolo 79: la parola “379” è sostituita dalla parola “636”; le parole da “al pretore” fino a “competenza per valore” sono sostituite dalle seguenti: “al giudice competente che decide ai sensi dell’articolo 2233 del codice civile”; l’ultimo periodo è soppresso.

    Questa norma riguarda specificamente i notai,  e li riconduce giustamente alla normativa generale dei professionisti in tema di determinazione dei compensi.

     

    Art. 8
    (Obbligo di comunicazione del preventivo)
    1. Tutti i professionisti concordano in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta. La redazione del preventivo è un obbligo deontologico e costituisce illecito disciplinare.

    Qui il timore della categoria si articola in più varianti. Ovvero:
    a-    Come potremo calcolare il preventivo?
    Esattamente come facciamo adesso.
    Non c’è avvocato che non sappia dare al cliente (o abbia in cuor suo) almeno un’idea di massima di quanto costerà una causa.

    b-    Resteranno fuori delle spese / attività / competenze non prevedibili all’atto del preventivo!
    Bisogna capirsi su cosa intendiamo per preventivo: l’avvocato che pensa a un foglio bianco con scritto solo ‘la causa Le costerà €4000,00 tutto compreso’ può tranquillamente rassegnarsi al peggio, i suoi timori troveranno piena conferma nelle infinite variabili del giudizio.
    Il preventivo dovrà per forza di cose essere analitico, prevedere il ‘pacchetto base’ che sarà ricompreso nel prezzo e le ulteriori varianti (gli optional  🙂 ) che si potrà scegliere o meno di ‘acquistare’ anche più avanti.
    Una gita da un qualunque concessionario auto può aiutare a chiarirsi le idee.

    c-    Le cause sono un qualcosa di troppo complesso per poter essere ricomprese in un preventivo!
    Costruire case è attività almeno altrettanto complessa e di pari durata; eppure il costruttore sa dirci quanto l’opera finita ci costerà.
    L’argomento dunque non regge.

    Piuttosto un preventivo (accettato, e dunque un contratto) ben fatto, ha tantissimi vantaggi:
    A)    Fa chiarezza immediata tra le parti (col noto corollario… dell’amicizia lunga);
    B)    Permette alle parti di stabilire un chiaro piano dei pagamenti (con scadenze o rate prefissate e la possibilità di bloccare subito la prestazione in caso d’inadempimento);
    C)    Elimina alla fonte i clienti indesiderabili, giacché chi ha poca o nessuna intenzione di pagare il professionista non accetterà certo di vincolarsi per iscritto;
    D)     Elimina ogni necessità per il professionista di dover calcolare (e giustificare) analiticamente le singole voci che compongono il totale dovuto;
    E)    Elimina ogni ‘sorpresa finale’ per i clienti, che potranno serenamente programmare anche l’onere finanziario collegato all’incarico professionale.

     

    (segue)
    2. Nell’atto di determinazione del preventivo il professionista ha l’obbligo di indicare l’esistenza di una copertura assicurativa, se stipulata, per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale, la sua durata e il suo massimale.

    3. Il presente articolo non si applica all’esercizio delle professioni reso nell’ambito del servizio sanitario nazionale o in rapporto di convenzione con lo stesso.

    Ritengo incosciente lavorare senza una copertura assicurativa professionale e personalmente ne ho una da circa quindici anni;  la norma mi pare dunque ineccepibile  (senza contare che l’obbligo sarebbe comunque scattato già quest’anno in ragione di precedenti disposizioni).
    Le prestazioni rese nel SSN sono esonerate perché esiste già la copertura obbligatoria da parte delle AASSLL e delle strutture private coinvolte: ma ricordo ai medici che questo non li pone al riparo dall’essere citati in giudizio personalmente (a volte, anche dalla stessa struttura per cui lavorano).

     

    4. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente … i codici deontologici si adeguano alle previsioni del presente articolo.
    Ovviamente.

     

    Art. 9
    (Accesso dei giovani all’esercizio delle professioni)
    1. All’articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, dopo il comma 3, è inserito il seguente: “ 3 bis. Le università possono prevedere nei rispettivi statuti e regolamenti che il tirocinio ovvero la pratica, finalizzati all’iscrizione negli albi professionali, siano svolti nell’ultimo biennio di studi per il conseguimento del diploma di laurea specialistica o magistrale; il tirocinio ovvero la pratica così svolti sono equiparati a ogni effetto di legge a quelli previsti nelle singole leggi professionali per l’iscrizione negli albi. Sono esclusi dalla presente disposizione i tirocini per l’esercizio delle professioni mediche o sanitarie. Resta ferma la durata massima dei tirocini prevista dall’articolo 33, comma 2 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214”.

    Sono favorevole a qualunque norma agevoli l’ingresso dei giovani nella professione. Spero che si configuri un tirocinio efficace, che davvero insegni qualcosa in più rispetto alle necessarie nozioni teoriche; ma questo potrà dircelo solo la concreta attuazione di tale norma.

     

    Questo in sintesi… ma ora, come s’usa dire, dite la vostra che ho detto la mia.

     

    [Chi cercasse invece notizie sul film che ha ispirato il titolo di questo post, può far rotta su Mymovies]

  • SETTE LEGGENDE DA SFATARE IN MATERIA DI SEPARAZIONE

     

    Sono molti i luoghi comuni nel campo delle separazioni, vere “leggende metropolitane” in grado di fare parecchi danni a chi dà loro retta.
    Vediamo allora di spazzarne via alcuni analizzando

     

    SETTE LEGGENDE DA SFATARE IN MATERIA DI SEPARAZIONE

    1. “Nella separazione i figli vanno sempre alla madre.”
      Questo non è vero, almeno non sempre.
      Dopo la riforma del 2006, voluta dal legislatore proprio per porre rimedio a una condizione che vedeva i padri in assoluto svantaggio nell’assegnazione dei figli, è stato adottato un criterio nuovo, quello della bigenitorialità, che permette e anzi impone a entrambi i genitori di partecipare in modo paritario e consente di evitare così che l’apporto dei padri in particolare si traducesse semplicemente nel versamento di una somma mensile (senza poter poi metter bocca sulle decisioni prese da sola la madre).
      Oggi abbiamo dunque la possibilità di modulare nel modo migliore e nel rispetto delle esigenze di entrambi un rapporto con i figli basato sulla compartecipazione e sulla codecisione per quel che riguarda le scelte importanti e i momenti significativi della vita dei separati.
    2. “Nelle separazioni la moglie prende sempre l’assegno di mantenimento”.
      Non è affatto vero.
      Intanto la legge non parla di mogli o di mariti ma parla genericamente di ‘coniuge economicamente più debole’.
      Nella nostra pratica professionale sono ormai frequenti casi in cui le mogli guadagnano più dei mariti, e questo si traduce (nei provvedimenti del tribunale) nell’assenza di qualsiasi provvedimento economico in favore delle mogli economicamente avvantaggiate; semmai residua (ma è cosa diversa) il solo assegno per i figli minori nel caso sia la moglie a tenerli presso di sé la maggior parte del tempo (cosa che abbiamo appena visto essere tutt’altro che scontata).
    3. “Nelle separazioni la casa coniugale va sempre alla moglie.”
      Anche questo non è più vero (o almeno non è più vero come è stato fino a pochi anni fa).
      In realtà dal punto di vista tecnico-giuridico non è mai stato vero; la norma prima vigente non parlava di ‘casa assegnata alla moglie’ ma di casa coniugale assegnata al coniuge al quale venivano affidati i figli.
      Adesso la norma indica quale assegnatario il genitore presso il quale vengono collocati in prevalenza i figli. Quindi non è l’essere madri o padri ma l’essere genitori “affidatari in prevalenza” dei figli minori a decidere chi resti in casa e chi vada fuori.
    4. La casa va sempre alla moglie, anche se non ci sono figli.”
      Falso. Se non vi sono figli non vale quello che  è previsto per la tutela di questi ultimi (v. punto precedente).
      Senza figli valgono dunque le regole generali della proprietà e il coniuge che non sia anche proprietario o almeno comproprietario dell’immobile non potrà restarci (se non per sopperire a esigenze immediate).
      Nel provvedimento definitivo che chiude il procedimento il tribunale non potrà mai (contro la volontà del coniuge proprietario) assegnare la casa coniugale alla moglie (in generale, al coniuge non proprietario) senza figli minori.
    5. L’assegno per i figli dei separati va pagato solo fino alla loro maggiore età.”
      Anche questa convinzione è molto diffusa ma è del tutto errata.
      I figli vanno mantenuti dai genitori anche oltre la maggiore età, a condizione che continuino con profitto i loro studi o che -pur senza studiare- ricerchino attivamente l’occupazione.
      Quanto dura allora l’obbligo di mantenimento in questione?
      Dura finché i figli non raggiungono l’autonomia economica. Anche se hanno trent’anni.
    6. “Il genitore disoccupato non è tenuto ad alcun mantenimento.
      Altra leggenda assai diffusa; a volte porta genitori poco responsabili addirittura… a licenziarsi (davvero o più spesso formalmente) dal loro lavoro, per figurare privi di reddito e quindi nulla aver da versare ai figli o al coniuge.
      I tribunali sono abituati a simili tristi sotterfugi e vanno oltre il dato formale, potendo disporre anche indagini di polizia tributaria, a carico non solo del coniuge ma anche di terzi (società fiduciarie, parenti, datori di lavoro in nero etc.), per accertare quali siano le reali condizioni economiche.
      E’ assai difficile sfuggire all’accertamento della polizia tributaria.
      Senza dimenticare che il tribunale -ove necessario- condanna a versare un assegno anche il coniuge formalmente disoccupato; se il coniuge disoccupato non potesse immediatamente pagare, tale debito resterà comunque a suo carico negli anni e potrà essere azionato dall’altro coniuge o dai figli maggiorenni anche a distanza di anni, cogl’interessi e la rivalutazione.
    7. “Se non mi presento in tribunale mio marito/moglie non potrà andare avanti con la causa.
      Errore gravissimo che però ancora qualcuno si ostina a voler commettere, rischiando così di compromettere in modo serio la possibilità di far valere le proprie ragioni.
      Marito e moglie hanno il diritto di separarsi, che l’altro voglia o no: il coniuge che vuole separarsi può dunque anche da solo far depositare il ricorso di separazione che verrà notificato all’altro coniuge. Se questi non ritirerà l’atto e non si difenderà nel processo con il suo avvocato subirà passivamente le conseguenze della decisione presa dal tribunale anche in sua assenza (tecnicamente “in sua contumacia”) quale che sia il provvedimento emesso dal tribunale (destinato peraltro a durare finché le condizioni sottostanti economiche non cambino in modo significativo).
      Se vi arriva dunque la notifica del ricorso… ritiratela senz’altro.

    E correte dal vostro avvocato matrimonialista.

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    Hai già deciso di separarti?
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    (l’immagine è di johnbullas – CC)

     

     

     

  • 10 TRUCCHI FONDAMENTALI PER RIDURRE AL MASSIMO IL COSTO DELL’AVVOCATO

    L’assistenza di un buon avvocato, inutile nasconderselo, costa (anche se già in precedenza vi avevamo segnalato l’esistenza di tre modi per non pagare l’avvocato).

    Con alcuni accorgimenti, che oggi intendiamo suggerirvi, potrete comunque contenere per quel che è possibile tale costo; e (incredibilmente) nel seguirli otterrete anche l’effetto di tutelarvi al meglio e di ottimizzare il rapporto col vostro avvocato.


    (altro…)

  • TRE MODI PER NON PAGARE L’AVVOCATO

    Pochi lo sanno, ma esistono (almeno) tre modi per assicurarsi a costo zero (o almeno limitato) l’assistenza del proprio avvocato, garantendo comunque a quest’ultimo il pagamento delle spese e degli onorari.

    Questo video vi spiega come fare… 😉

    Aspettiamo i vostri commenti. Buona visione!

    NB – Aggiornamento: alla luce delle intervenute modifiche legislative vi sono ora dubbi sulla praticabilità del patto di quota lite (il resto del discorso conserva la sua validità).

    A CAUSA DI ATTACCHI SPAM I COMMENTI A QUESTO ARTICOLO SONO STATI ORA BLOCCATI.

  • Chiedere i danni a un medico o a un ospedale. Inutile?

     

    Nel valutare se avviare o meno una ricerca di risarcimento danni nei confronti di un medico, di un ospedale o di una casa di cura, viene spesso da chiedersi… se davvero ne valga la pena.

    In particolare, è diffusa l’opinione per cui sia impossibile ottenere –soprattutto dal medico incaricato in giudizio quale CTU (consulente tecnico d’ufficio) del Tribunale- un giudizio negativo nei confronti dei colleghi il cui operato è sottoposto a giudizio.

    Ma questo è, semplicemente, un luogo comune senza alcun fondamento.

    Esistono per fortuna molti bravi professionisti indipendenti che valutano in modo imparziale l’operato dei loro colleghi e permettono dunque un’analisi obiettiva e libera dei fatti e (se è il caso) la ricostruzione delle responsabilità dei professionisti e /o delle strutture coinvolte; e molti sono ormai i giudizi che si concludono col positivo accoglimento di (fondate) domande che il danneggiato ha svolto attraverso il suo avvocato.

    E’ stato da poco diffuso il resoconto di uno studio pilota compiuto dall’Osservato­rio sulla responsabilità del me­dico (Orme) esa­minando 1.900 sentenze del Tri­bunale civile di Roma dal 2001 ai primi tre mesi del 2007.

    La percentuale di accoglimento di simili domande sarebbe pari al 60%; un dato già di per sé davvero elevato; e che cresce ancora di più se si considera che nel 40% di rigetti vanno anche conteggiate le cause promosse in modo imprudente, o senza alcun fondato motivo giuridico, o ancora senza prove sufficienti a sostegno.

    Un simile dato dimostra tra l’altro come sia altrettanto infondato lo speculare pregiudizio –stavolta diffuso dal lato dei medici- per cui le cause sanitarie portino comunque a un qualche risarcimento per chi ‘si lancia’ in accuse anche del tutto infondate.

    GMS

    [Se avete voglia di discuterne, non esitate a inserire un commento!]