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  • NULLITA’ DEL MATRIMONIO, FINALMENTE UNO STOP ALLA SACRA ROTA

    Avvocato, ho sentito dire che rivolgendosi alla sacra rota mia moglie non prenderà gli alimenti, possiamo farlo anche noi?”

    La domanda (quasi sempre in questi termini espliciti) ci viene rivolta spesso, da mariti (o anche da mogli, nell’ultimo periodo) all’affannosa ricerca di sistemi più o meno tortuosi per evitarsi di corrispondere somme al non più amato coniuge.

    Intanto, diciamo che è una filosofia che comprendiamo ma non condividiamo; qui come in altri settori non c’è da essere più o meno ‘furbi’, semplicemente c’è da far valere i propri diritti in un senso o nell’altro (e dunque non pagare se all’altro per legge non spetta; pagare solo il giusto, qualora si sia tenuti). Le norme in materia, se ben applicate, assicurano giustizia.

    Tornando al nostro argomento: effettivamente –almeno fino a ieri- uno dei più praticati stratagemmi per evitare di dover corrispondere alimenti al coniuge in caso di separazione era quello di rivolgersi ai tribunali ecclesiastici per ottenere una pronuncia di nullità del matrimonio.

    Non stiamo parlando dei pochissimi casi in cui a muovere gli interessati è un reale insopprimibile bisogno di porre nel nulla un sacramento per fondati motivi squisitamente religiosi; quello che interessa qui è il caso -purtroppo assai diffuso- del marito (o in qualche caso della moglie) che si rivolge alla Rota romana (questo il nome corretto) per far dichiarare la nullità del proprio matrimonio per motivi d’interesse economico.

    A i non addetti ai lavori questa distinzione tra nullità ecclesiastica e divorzio civile sfugge, perché nella sostanza si ha sempre la fine del vincolo matrimoniale a suo tempo contratto in chiesa.

    Se nessun matrimonio vi è stato allora non spettano gli aiuti economici che dal matrimonio traggano origine; dunque niente assegno di separazione e nemmeno di divorzio.

    Gli effetti dell’una e dell’altra pronuncia però sono ben diversi; o almeno lo sono stati fino a pochi giorni fa.

    Una sentenza di nullità ecclesiastica (poi recepita nel nostro ordinamento con una sentenza di delibazione, in pratica poco più di un controllo formale) fa cadere il vincolo del matrimonio dall’origine; in pratica è come se un matrimonio non ci fosse mai stato. 

    Dal punto di vista degli alimenti e del mantenimento questo ha conseguenze drammatiche per il coniuge svantaggiato che secondo la legge italiana avrebbe diritto a un assegno di mantenimento, perché se nessun matrimonio vi è stato allora non spettano gli aiuti economici che dal matrimonio traggano origine; dunque niente assegno di separazione e nemmeno di divorzio, salve poche eccezioni (limitate nel tempo e comunque nella casistica) di cui faremo a meno di accennare.

    Nella pratica ci si trovava dunque a dover fronteggiare, nel corso di un procedimento civile italiano, la concreta minaccia che tutto venisse posto nel nulla a causa di una sentenza “straniera”, pronunciata da un tribunale assai diverso da quelli che conosciamo, per di più basata su criteri di giudizio spesso assai diversi e distanti da quelli della legge italiana.

    Da oggi non è più così.

    Le sezioni unite della corte di Cassazione, infatti, con una sentenza (16379/14) che sicuramente farà epoca e solleverà proteste degne di miglior causa, hanno finalmente sancito in modo chiaro e inequivocabile il principio per cui

    Ora le pronunce di nullità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici non potranno più avere alcun effetto per la legge italiana nel caso di matrimoni in cui vi sia stata convivenza effettiva per almeno tre anni.

    le pronunce di nullità del matrimonio dei tribunali ecclesiastici non potranno più avere alcun effetto per la legge italiana nel caso di matrimoni in cui vi sia stata convivenza effettiva per almeno tre anni. Lo impedisce innanzitutto la nostra Costituzione.

    Finalmente dunque la tutela dei diritti e delle rispettive ragioni dei coniugi torna ad essere oggetto di esame e decisione pressoché esclusivi del giudice civile italiano, secondo le leggi laiche del nostro ordinamento e con tutte le garanzie che le nostre norme assicurano in modo lodevole al coniuge svantaggiato separato o divorziato.

    Attenti però; il vostro avvocato dovrà opporsi tempestivamente e nel modo tecnicamente corretto alla sentenza ecclesiastica, altrimenti il giudice non potrà di sua iniziativa rifiutarsi di accettare la sentenza ecclesiastica e anzi dovrà necessariamente applicarla.

    Ancora un buon motivo per scegliersi un ottimo avvocato matrimonialista.

    Stai pensando di separarti? 

    Se hai maturato già l’idea (o anche solo se ti serve una consulenza riservata di orientamento), contàttaci ora (dal sito, via mail o chiamando lo 0656320610).

    Ti aspettiamo per tutelarti al massimo.

     

     

     

     

     

     

     

    L’immagine: “GVasiCancelleriaengr”. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons

     

     

  • L’errore peggiore? Rimandare una decisione.

    A essere indecisi sul da farsi -e a rimandare una scelta personale o lavorativa- sono spesso i nostri assistiti; e ciò anche quando in cuor loro sanno bene quale sia la via da prendere.
    Anche noi avvocati del resto, nella nostra vita oltre il lavoro, commettiamo spesso lo stesso errore.
    Rinviare una decisione importante è comodo, nell’immediato. Ma assai dannoso, in prospettiva.
    E il tempo è in assoluto il nostro bene più prezioso, come suggeriva Seneca in questa indimenticabile lettera che v’invitiamo a leggere (e che noi non ci stanchiamo di rileggere).

    422px-Seneca2[1]IL TEMPO; USARLO, PERCHÉ AD OGNI ISTANTE SI MUORE.

    (Seneca, Lettere Morali a Lucilio, Libro Primo, 1)

     Seneca saluta il suo Lucilio.

    1. Fai così, o mio Lucilio: renditi padrone di te stesso e il tempo che finora ti era portato via con la forza o sottratto con la frode o che ti sfuggiva di mano raccoglilo e conservalo. Persuaditi, succede proprio come ti scrivo: certi momenti ci sono tolti con brutalità, altri presi subdolamente, altri ancora si disperdono. Però lo spreco più vergognoso è quello provocato dall’incuria. E se avrai la compiacenza di prestare attenzione, bada: la maggior parte della vita se ne va mentre operiamo malamente, una porzione notevole mentre non facciamo nulla, tutta quanta la vita mentre siamo occupati in cose che non ci riguardano.

    2. Mi indicherai un uomo che attribuisca un valore effettivo al tempo, che sappia soppesare ogni giornata, che si renda conto di morire ogni giorno? Sbagliamo, infatti, in questo: che ravvisiamo la morte innanzi a noi; ebbene: una gran parte della morte appartiene già al passato. Tutto ciò che della nostra esistenza è dietro di noi, la morte lo tiene saldamente. Fai dunque, o mio Lucilio, quel che mi scrivi che fai: tienti strette tutte le tue ore, così avverrà che dipenderai meno dal domani. Mentre si differiscono gli impegni, la vita ci passa davanti.

    3. Tutto, o Lucilio, è al di fuori dell’uomo: solo il tempo è nostro; di quest’unico bene lubrico e fugace la natura ci ha affidato il possesso e ne può escludere chi vuole. E poi, osserva come è grande la follia dei mortali: tollerano che siano loro rinfacciati come un debito, quando li abbiano ottenuti, i doni più insignificanti, di pochissimo valore e comunque rimpiazzabili; nessuno, invece, si considera debitore di qualcosa, se ha ricevuto un po’ di tempo; eppure questo è l’unico bene che nemmeno una persona riconoscente può restituire.

    4. Forse chiederai che cosa faccio io che ti impartisco tali insegnamenti. Lo confesserò candidamente: proprio quello che succede a un uomo amante del lusso, ma scrupoloso: tengo alla perfezione il registro delle spese. Non ho il diritto di affermare che non sperpero nemmeno un poco di tempo, ma dirò quanto ne perdo e perché e in che modo; così renderò ragione della mia povertà. Del resto, mi capita ciò che succede alla maggior parte delle persone in miseria per colpa loro: tutti sono comprensivi, nessuno, però, viene ad aiutarle.

    5. E allora? Non considero un poveraccio chi si accontenta di quel poco – non importa quanto – che gli è rimasto. Preferisco tuttavia che tu tenga in serbo le tue risorse e comincerai a farlo nel momento opportuno.

    Infatti, come giustamente vedevano i nostri vecchi, è troppo tardi risparmiare quando si è giunti in fondo al vaso, perché ciò che rimane è davvero poca cosa e, per giunta, la peggiore.

     

    Stammi bene.

     

     

     

     

     

     

  • Pausa estiva…

     1016589_10200917217804637_668165371_n[1]Anche quest’anno, senza aver quasi avuto il tempo di rendercene conto, ci ritroviamo alle soglie della pausa estiva.
    Come certo saprete i tribunali -grazie a una legge che ormai ha più di quarant’anni- riducono al minimo la loro attività (salvo insopprimibili urgenze)  nel periodo 1/8-15/9; ed è un bene per tutti, in primis… per gli assistiti.

    Per noi quella da settembre 2012 a oggi è stata una stagione ricca di soddisfazioni ma anche assai impegnativa, piena di cambiamenti e di nuove sfide. Arriviamo dunque a fine luglio stanchi ma soddisfatti, e sicuri di poter fare ancora meglio alla ripresa delle consuete fatiche.

    Vi ricordiamo che resta sempre attivo il canale delle prenotazioni degli appuntamenti via internet; chi è interessato a un appuntamento per una consulenza (ad esempio per una separazione) può senz’altro scriverci una mail di richiesta, lasciando i suoi recapiti.
    Richiameremo gl’interessati a fine agosto, per fissare gli appuntamenti seguendo l’ordine di arrivo delle mail.

    La nostra attività riprenderà appieno dal 2 settembre. Nel frattempo… buona estate!

  • Separazione giudiziale o consensuale? La storia della piccola Stefania

    


    Succede spesso, nella nostra pratica quotidiana di divorzisti, di ritrovarci a caldeggiare la soluzione della separazione consensuale rispetto a quella giudiziale; e non sempre è facile convincere il nostro cliente (uomo o donna che sia) che questa sia senza ombra di dubbio la soluzione da preferire.

    Torna utile, in questi casi, illustrare ai nostri clienti qualche esempio concreto che chiarisca meglio i nostri timori.

    Nel caso interessasse anche i (non pochi) visitatori del nostro sito, racconterò anche a loro il caso della piccola Stefania (il suo vero nome, l’avrete intuito, non è certo questo).

    Tranquilli, non è una storia tragica: ma non mi sembra abbia un lieto fine.

    Si era rivolta a noi la sua mamma, giunta alla determinazione di volersi separare; le spiegammo il da farsi e, ottenuto il suo consenso, scrivemmo al marito perché aderisse a tale volontà e discutesse (assistito da un suo legale di fiducia) le condizioni concrete di un accordo che portasse alla separazione consensuale.

    Nel caso non lo sappiate, con la separazione consensuale tutto si risolve in un’unica udienza in Tribunale, nell’arco (in media) di tre/quattro mesi dalla presentazione del ricorso.

    E quasi sempre, se l’avvocato ha fatto un buon lavoro, a essere accolte dal Tribunale sono proprio le condizioni proposte dai coniugi, quelle che meglio rispondono alle esigenze e ai bisogni concreti di quella famiglia.

    Come a volte accade, il marito (ma il discorso si verifica anche a parti invertite, sia chiaro) non volle aderire a tale invito, e costrinse così la moglie a dover procedere con la separazione giudiziale; che è un vero e proprio processo, destinato a durare qualche anno e a costare assai di più di una consensuale, non solo in termini di spese legali ma anche -e soprattutto- sul piano personale, emotivo.

    La piccola Stefania si ritrovò dunque, come purtroppo spesso accade, al centro della contesa processuale tra i genitori; per ben quattro anni noi avvocati discutemmo e disputammo (in aula e fuori) su quale fosse il genitore più adatto a gestire la piccola, su chi dovesse restare nella casa coniugale e chi dovesse uscirne etc.; fu addirittura richiesta una perizia psicologica sulla piccola, che a dire del padre manifestava un disagio profondo (poi rivelatosi inesistente); il che non vuol dire che non soffrisse parecchio, per tutto quel periodo, in ragione dell’accesa conflittualità tra i suoi genitori.

    Giunse infine il momento della decisione; noi avvocati depositammo i nostri vibranti atti conclusionali e il Tribunale trattenne la causa per pronunciare la sentenza.

    Per lunghi mesi attendemmo la pubblicazione del provvedimento; l’attendeva soprattutto la mamma da noi assistita, con cui viveva (fino a nuovo ordine) la piccola Stefania.
    Personalmente nutrivo (ma non lo dissi alla signora) concrete speranze di ottenere una decisione favorevole.

    Stefania nel frattempo compiva dieci anni.

    Di lì a poco la sentenza uscì; e avemmo un’amara sorpresa.

    “Ha vinto il padre”, avrete pensato voi.

    E avreste sbagliato, perché il padre fu ugualmente sorpreso dal contenuto della sentenza.

    “Allora l’hanno affidata ai servizi sociali!” penserete a questo punto; a volte si sente di queste decisioni che…

    Nemmeno questo.

    Semplicemente, gli sbigottiti avvocati (e i coniugi ancor più sbigottiti) lessero nella sentenza che, vista la raggiunta maggiore età di Stefania, non c’era più necessità di stabilire a chi spettasse di avere in affidamento la figlia, ormai grande.

    Stefania, maggiorenne per sentenza.

    Quattro anni di causa, di ansie, liti e spese per ottenere (non una sentenza in/giusta ma) una sentenza del tutto inservibile.

    Un clamoroso errore; con tutta evidenza, si trattava di un altro caso esaminato sempre da quei giudici e il cui testo s’era sovrapposto a quello della nostra sentenza.

    Unico rimedio: l’appello.

    Ovvero un altro grado completo di giudizio, destinato a durare (almeno) altri cinque anni.
    E a raddoppiare le spese, le ansie e i litigi del primo grado.

    Questa, in breve, la storia. I riferimenti sono volutamente vaghi, perché si tratta di un caso vero.

    E continuo a raccontarla perché mi sembra -voi che ne dite?- un buon argomento a favore della separazione consensuale.